A Venezia,palazzo FORTUNY,in mostra vesti dei guerrieri giapponesi del periodo Momoyama e Edo e abiti delle lady del primo Novecento.
Le dame, i cavalieri , le armi e «la città», si potrebbe dire parafrasando l’Orlando Furioso di Ludovico Ariosto: fino al 27 LUGLIO gli abiti delle grandi dame che nella prima metà del novecento scelsero i tessuti plissè di Mariano Fortuny, e le armature dei samurai del periodo Momoyama (1575-1602) e del periodo Edo(1603-1867) sono raccolti in una sola mostra. Le sale espositive di PALAZZO FORTUNY riaprono per un importante triplice evento: tre piani per tre diverse mostre. Ad accogliere i visitatori al piano terra «Città delle città», installazione del veneziano Francesco Candeloro, che ricostruisce una metropoli suggestiva dai colori accesi. Un percorso immaginario attraverso le vie di un centro cittadino, dove, su pannelli in plexiglass, l’autore ha riprodotto (con stampa monocroma a raggi ultravioletti) le immagini dei suoi viaggi nelle varie città del mondo.
Da Seul a Palermo, in un gioco di luci e tinte, l’artista ricompone il mosaico di uno spaccato di vita quotidiana: strade all’ora di punta, vie trafficate, gli esterni di edifici più o meno conosciuti,un giorno qualsiasi di una città qualsiasi. Al primo piano, nella collezione di abiti Fortuny, priva di circa 300 opere date in prestito per le mostre di Barcellona e di Madrid dedicate all’artista, trovano spazio i rari Delphos, le «tuniche» minimaliste che Fortuny riprese dalla tradizione ellenica, e i costumi di due collezioni private: quella americana di Keith H. Mc Coy, e quelli della famiglia Riad, attuali proprietari della fabbrica tessile Fortuny. Infine, al terzo piano, una delle più importanti collezioni di abbigliamento samurai presenti occidente: armature, elmi e accessori della collezione Koelliker di Milano. Oltre trenta tosei gusoku (armature moderne dal XVI al XVIII secolo), riccamente ornate da decorazioni, simboli in oro, corna e pelli, ma poco adatte alle battaglia, così come i kawari kabuto, («elmi straordinari» dalle forme eccentriche). «Dal 1600, per oltre trecento anni non vi furono guerre in Giappone - spiega il curatore della mostra Giuseppe Piva - le armature erano un mezzo per rappresentare la propria estrazione sociale. I colori e le figure rappresentate, contrariamente a quanto si crede, non avevano significati particolare ma erano semplicemente una scelta estetica».
Nessun commento:
Posta un commento